Conciliazione obbligatoria (D. Lgs. 28/2010)

Con il D. Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010 è stata introdotta nel nostro ordinamento la conciliazione obbligatoria, quale condizione di procedibilità per tutte le cause in materia di diritti reali (proprietà, usufrutto, servitù, ecc..), successioni ereditarie, divisioni, patti di famiglia, locazioni, affitto di aziende, comodato, risarcimento del danno da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Per le controversie riguardanti il condominio e il risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, l’entrata in vigore della conciliazione obbligatoria è stata prorogata a marzo 2012.
Restano esclusi i procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione (fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione), i procedimenti per convalida di licenza o sfratto, i procedimenti possessori, i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata, i procedimenti in camera di consiglio e l’azione civile esercitata nel processo penale. Il tentativo di conciliazione obbligatoria non si applica alle azioni previste dagli art. 37 (azione inibitoria delle clausole vessatorie), 140 ( azione delle associazioni dei consumatori) e 140-bis (class action) del codice del consumo (D. Lgs. n. 206/2005). Per tutte le altre materia, fatta eccezione per i diritti indisponibili, la conciliazione è facoltativa.
Lo scopo della riforma è, evidentemente, quello di diminuire il tasso di litigiosità esistente, favorendo (e rendendo obbligatori) procedimenti che aiutino le parti in contesa a trovare un accordo che possa così scongiurare l’insorgere di una lite giudiziaria.
Perchè le parti dovrebbero conciliare?
Intanto, almeno per le materie già elencate in prcedenza, l’esperimento del tentativo di conciliazione è obbligatorio, ovvero è condizione di procediblità per l’esercizio dell’azione giudiziaria. Solo dopo che la mediazione si sia conclusa negativamente, la parte interessata potrà adire la magistratura. Il legislatore, inoltre, ha previsto due ulteriori importanti leve per incoraggiare i contendenti a venire a miti propositi: in primo luogo alla conclusione del procedimento di mediazione sono ricollegati benefici fiscali, che viceversa andrebbero persi se la lite si concludesse con una sentenza; in secondo luogo, l’art. 13 del decreto prevede l’inversione delle spese di soccombenza, in virtù della quale saranno accollate alla parte, anche vincitrice del processo, le spese di lite nel caso in cui la sentenza abbia sostanzialmente lo stesso contenuto della proposta di conciliazione già formulata dal mediatore e precedentemente rifiutata. Non va, inoltre, trascurata l’ipotesi che, su istanza della controparte, il giudice possa condannare al risarcimento del danno per lite temeraria quella parte che già in sede di mediazione abbia rifiutato un accordo di per sè sufficientemente vantaggioso e tale da poter soddisfare gli interessi sottesi all’instaurazione del giudizio, così da sanzionare atteggiamenti processuali gratuitamente afflittivi o volutamente dilatori, da parte di chi rifiuti l’ipotesi di accordo nel proposito di recare quanto più danno possiile alla controparte o, nell’ipotesi inversa, da parte di chi rifiuti l’ipotesi di accordo per trarre vantaggio dalla maggiore durata del procedimento giudiziale. Inoltre, nel caso in cui la mediazione non andasse a buon fine, la parte che abbia inutilmente rifiutato l’ipotesi di accordo, potrà essere condannata al pagamento di un importo corrispondente all’ammontare del contributo unificato.
Parimenti è sanzionata l’ingiustificata assenza di una parte al procedimento di conciliazione, dal momento che essa potrà rappresentare, per espressa previsione legislativa, un argomento di prova nell’ambito del giudizio che andrà successivamente a tenersi.
L’esito positivo della mediazione dovrebbe, inoltre, essere favorito dall’assenza di rigidi formalismi a cui attenersi, così da lasciare al mediatore la più ampia agilità di azione per favorire il bonario componimento della lite. Le uniche norme procedurali a cui il mediatore dovrà attenersi saranno quelle, aventi natura contrattuali, del regolamento di mediazione dettato dall’organismo di conciliazione di appartenenza. Anche sotto questo punto di vista, la mediazione che il legislatore ha voluto disegnare, tende a volersi nettamente distinguere dal processo. In altri termini, lo scopo della mediazione non è quello di sostituirsi al procedimento giudiziale, ma di favorire la comunicazione ed il confronto delle parti circa la concreta rilevanza degli interessi di cui sono portatrici, nella ricerca di un compromesso che possa contemperare le divergenti esigenze. Il conciliatore, nello svolgimento del proprio incarico, è, inoltre, vincolato dal segreto professionale, per cui nulla di quanto le parti gli riveleranno potrà eventualmente essere riversato negli atti del successivo giudizio, nè il conciliatore potrà essere chiamato a prestare testimonianza circa i fatti di cui sarà venuto a conoscenza nello svolgimento del proprio ufficio.